L’attività del consulente
«Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce in udienza e in camera di consiglio i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli art. 194 e seguenti e degli art 441 e 463 c.p.c.».
«Il consulente assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie le indagini di cui all’art 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e ad eseguire piante, calchi e rilievi».
Il consulente può assumere informazioni su fatti accessori che sono presupposti per lo svolgimento del suo compito ma NON su fatti costituenti fondamento di domande ed eccezioni, esterni ai quesiti, non potendosi sostituire alle parti nelle loro iniziative probatorie. I fatti secondari accertati possono costituire fonte di convincimento se non contestati alla prima difesa utile.
Senza autorizzazione non può esaminare documenti non prodotti.
Il consulente si riserva di rispondere ai quesiti e opera autonomamente in assenza del giudice e, come di regola, deve redigere relazione scritta (art. 195 c.p.c):
– nella relazione il consulente inserisce le osservazioni e le istanze di parte ;
– la relazione deve essere preceduta dal contraddittorio con i consulenti di parte le cui osservazioni saranno oggetto di «sintetica valutazione» nella relazione ad opera del CTU.
Non dà invece luogo a nullità, non essendo la stessa sanzione espressamente prevista, ma solo ad irregolarità, la violazione dell’art. 195 comma 2 c.p.c., che impone al CTU di inserire nella relazione anche le osservazioni e le istanze delle parti; e parimenti non vi è nullità nemmeno nel caso di omessa verbalizzazione delle operazioni, essendo sufficiente la loro descrizione nella relazione.
Il consulente può partecipare alle udienze ed esprimere il suo parere anche in camera di consiglio ma sempre alla presenza delle parti, ovviamente prima della decisione alla quale non partecipa.
La relazione del consulente non è vincolante ma:
– il giudice che disattende tale parere ha l’onere di darne adeguata motivazione;
– il giudice che condivide tale parere può esimersi dal motivare la sua adesione, ma solo nel caso di assenza di contestazioni o critiche dell’una o dell’altra parte.
Il collaboratore
E’ ammesso che il CTU possa, anche senza l’espressa autorizzazione del giudice, avvalersi dell’ausilio di collaboratori e specialisti per il compimento di particolari indagini o l’acquisizione di elementi di giudizio (per tutte, Cass. n. 16471/2009).
La prassi di richiedere comunque al giudice tale autorizzazione, si spiega con la ragione pratica di evitare che in sede di liquidazione delle spettanze non venga riconosciuta come rimborsabile tale spesa ex art. 56 DPR n. 115/2002, nel caso la collaborazione stessa comporti un aggravio di spesa.
Il CTU deve valutare la loro opera, assumendosene la responsabilità giuridica, scientifica e morale, laddove trasfonda i risultati di tali collaborazioni nella propria relazione.
L’attività del collaboratore comunque non può essere integralmente sostitutiva di quella del CTU (Cass. n. 21728/2006).
Il CTU potrebbe invece chiedere al giudice di essere affiancato da altro consulente specialista in altra disciplina, ma in tal caso dovrà, da parte del giudice, essere conferito apposito incarico e si sarà in presenza di due distinte consulenze tecniche d’ufficio.
In caso di conciliazione durante l’espletamento della CTU, la procedura prevista dagli articoli 198 e 199 c.p.c., che culmina nel decreto del giudice con il quale si attribuisce efficacia di titolo esecutivo al verbale sottoscritto da parte e consulente, riguarda esclusivamente le consulenze contabili, come emerge dal dato letterale delle norme. Un’ulteriore e simile ipotesi è stata ora introdotta, nell’ambito della consulenza tecnica preventiva, dall’art. 696 bis c.p.c.